SPESE LEGALI: CHI LE PAGA?
SPESE LEGALI: CHI LE PAGA? – E’ spesso una delle prime domande che viene rivolta all’avvocato dal cliente quando venga prospettata la necessità o l’opportunità di avviare un giudizio. Ci si limita qui di seguito ad affrontare il tema della ripartizione delle spese legali in sede di processo civile.
Una prima precisazione si rende necessaria. In realtà, nell’ambito delle generiche “spese legali” occorre distinguere fra le spese propriamente dette (ad es. per le notifiche, contributo unificato, copie, ecc.), che integrano dei costi fissi necessari per affrontare il processo, ed il compenso professionale dell’avvocato, regolato da apposite norme.
Ciò detto, l’art. 91 c.p.c. sancisce l’operatività, quale criterio generale, del principio della soccombenza. In altre parole, colui che perde il giudizio sostiene tutte le relative spese, sia le proprie che quelle della controparte. Ciò significa che il soccombente è tenuto anche a rifondere la parte vittoriosa delle spese da questa eventualmente sostenute nel corso del giudizio . Il soccombente è inoltre tenuto a pagare il compenso professionale all’avvocato della controparte, liquidato dal giudice nella sentenza, oltre a quello del proprio legale, secondo gli accordi presi con questi al momento del conferimento dell’incarico.
Se questa è l’ipotesi normale, l’art. 92 c.p.c. prevede che in alcuni casi il giudice possa pronunciare, in tutto o in parte, la compensazione delle spese. Con tale locuzione s’intende la circostanza per la quale ciascuna delle parti sostiene, anche solo parzialmente, le spese sostenute o da sostenere nel suo stesso interesse. Di conseguenza, ciascuna parte, a prescindere dal fatto che sia soccombente o meno, è tenuta a corrispondere il compenso al proprio legale ed a subire il peso delle spese propriamente dette nella misura indicata dal giudice.
Le ipotesi nelle quali il giudice può pronunziare la compensazione, motivando espressamente la decisione, sono le seguenti:
– soccombenza reciproca;
– assoluta novità della questione trattata;
– mutamento della giurisprudenza su questioni dirimenti.
E’ evidente come si tratti di circostanze del tutto particolari che farebbero apparire iniquo l’addebito al soccombente, in tutto o in parte, anche delle spese della controparte. La compensazione, tuttavia, è chiamata ad operare in via eccezionale, e pertanto incombe sul giudice l’onere di motivare espressamente la decisione sul punto, come pure di valutare attentamente la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge. Così, ad esempio, il mutamento della giurisprudenza su questioni dirimenti deve apparire assai significativo, ad esempio risultando da una pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione che ribalti un’interpretazione precedentemente consolidata e condivisa dalla giurisprudenza costante.
Resta da precisare come l’addebito delle spese possa essere significativamente incrementato nel caso di responsabilità aggravata (cd. lite temeraria), laddove cioè, si sia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. In tali ipotesi, infatti, il giudice, oltre a condannare al pagamento delle spese può anche imporre un risarcimento in favore della controparte nonché il pagamento di un’ulteriore somma a favore di quest’ultima, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.. L’ipotesi da ultimo citata, di cui al terzo comma dell’art. 96 c.p.c., integra un vero e proprio danno punitivo, previsto dalla legge con funzione sanzionatoria di una condotta integrante abuso dello strumento processuale. La disciplina in commento, infatti, è evidentemente tesa a scoraggiare iniziative giudiziarie prive di qualsiasi fondamento, le quali non possono che essere assai lesive dell’efficacia stessa del sistema processuale nel suo complesso, comportando un inutile dispendio di risorse umane ed economiche distogliendole da questioni più pregnanti.
Avv. Nicola Sansone
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