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CONVIVENZA FINITA: È DOVUTO IL MANTENIMENTO?

CONVIVENZA FINITA: È DOVUTO IL MANTENIMENTO?

Come tutti sanno, il matrimonio comporta per i coniugi il dovere reciproco di assistenza materiale e morale, al quale viene ricondotta la previsione del diritto al mantenimento, nei casi previsti dalla legge, nell’ipotesi di separazione o divorzio, in aggiunta a quanto previsto in linea generale dall’art. 433 cod. civ. in tema di alimenti.

Esiste una previsione analoga nel caso di convivenze di fatto? Quando il rapporto di convivenza, magari durato anni, cessa, è giusto che il partner, che per ipotesi abbia sacrificato molto della propria vita professionale e non possa quindi facilmente rendersi autosufficiente, si trovi improvvisamente privo di entrate, senza tanti complimenti?

Il legislatore, sensibile ai mutamenti sociali intervenuti negli ultimi decenni ed alla crescente rilevanza delle famiglie di fatto rispetto a quelle regolate dall’istituto del matrimonio, è intervenuto espressamente a regolare la materia, con la legge n. 76/2016.

La soluzione adottata è, per così dire, un compromesso. Essa, infatti, non ricalca strettamente la disciplina dettata in materia di separazione o divorzio, ma incide sulla normativa in materia di alimenti.

Gli artt. 433 e ss. cod. civ., al riguardo, disciplinano in linea generale l’obbligazione alimentare, vale a dire l’obbligo gravante su taluni soggetti espressamente indicati, di erogare quanto strettamente necessario al sostentamento del cd. beneficiario degli alimenti. Si tratta di un obbligo più ristretto, rispetto al cd. mantenimento, che invece ha un contenuto più ampio. Gli alimenti sono irrinunciabili, non cedibili o trasmissibili a causa di morte (e dunque strettamente personali), e non scuscettibili di compensazione.

Il credito alimentare è dunque un diritto con una sua disciplina peculiare, che lo distingue nettamente da ogni altro diritto di credito. Il suo fondamento è da ravvisare nell’obbligo di solidarietà reciproca familiare, che affonda le proprie radici nella stessa Costituzione, all’art. 29. I soggetti obbligati a prestare gli alimenti, infatti, sono, ai sensi dell’art. 433 cod. civ., nell’ordine:

  • il coniuge;
  • i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi;
  • i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti;
  • i generi e le nuore;
  • il suocero e la suocera;
  • i fratelli le sorelle, con prevalenza dei germani sugli unilaterali;

Orbene, sulla disciplina così congegnata dal codice civile e sommariamente descritta, si è innestata la previsione di cui all’art. 1, comma 65, legge n. 76/2016. La norma in questione, infatti, ha previsto che:

“In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 438, secondo comma, del codice civile. (…)”.

Il legislatore, dunque, ha previsto espressamente il diritto del convivente in stato di bisogno di ottenere, alla cessazione del rapporto, un assegno alimentare, rinviando alla disciplina generale di cui agli artt. 438 e ss. cod. civ, con alcune precisazioni importanti. Anzitutto, è previsto che la durata della prestazione sia commisurata a quella della convivenza. Ciò implica uno stretto legame fra durata della convivenza di fatto ed obbligo di solidarietà reciproca. Quest’ultima, infatti, permane anche a seguito della cessazione del rapporto, tanto più a lungo quanto più la convivenza, e dunque la relazione affettiva, sia stata di lunga durata.

Sarebbe del tutto iniquo, d’altronde, che all’esito di una relazione magari durata anni, caratterizzata da investimenti affettivi e personali notevoli, anche a costo di sacrifici sul piano professionale, si ignori qualsiasi dovere di solidarietà reciproca.

L’altro aspetto essenziale da evidenziare nella normativa in oggetto, anche in sede di brevi cenni, è quello relativo all’ordine tra gli obbligati.

La normativa del 2016, infatti, inserisce il convivente tra i soggetti tenuti agli alimenti, elencati dall’art. 433 cod. civ., ma quasi in via residuale, vale a dire esclusivamente prima dei fratelli e delle sorelle. Tutti gli altri soggetti restano quindi tenuti agli alimenti in via prioritaria, salva la disciplina di cui all’art. 441 cod. civ.. Trattasi di previsione, invero, alquanto discutibile, almeno ad avviso di chi scrive, che non realizza una piena valorizzazione del principio di solidarietà familiare nell’ambito delle convivenze di fatto e rischia di produrre effetti distorsivi quando si guardi al rapporto fra obbligati di grado grado.

Al riguardo, peraltro, è opportuno evidenziare come il rapporto tra le diverse categorie di obbligati si intrecci in maniera non sempre agevole con la disciplina in materia di separazione e divorzio, ciò che impone un’attenta valutazione da effettuare caso per caso. Si pensi, al riguardo, a coniugi separati che intraprendano rapporti di convivenza di fatto con altri partner. Al riguardo, i casi concreti affrontati dalla giurisprudenza consentono di esaminare le complesse articolazioni degli intrecci tra le contrapposte esigenze alla base delle normative di cui si discute (clicca qui per approfondimenti).

Avv. Nicola Sansone


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